La mappa del cuore di Lea Melandri e quelle inquietudini di teenagers ripercorse da Ateliersi
Era dalla fine del lockdown che non si usciva con l’auto e si faceva quel centinaio di chilometri per andare a vedere uno spettacolo. Sicuro che il lungo digiuno, il luogo – Santarcangelo –, il contesto – il festival della cinquantesima edizione “Futuro Fantastico” – e il titolo, “La mappa del cuore” di Lea Melandri, abbiano caricato di aspettative ed emozioni quella che doveva essere una semplice gita fuori porta. Eppure le titubanze non mancavano. Era come partire per un lungo viaggio. Come andare in vacanza lontano. Anche per questo si è preferito lasciare scorrere qualche giorno (lo spettacolo era metà luglio) per scriverne. La distanza ha aiutato, e adesso si può dire: intraprendere questa gita che sembrava un viaggio infinito ne è valsa la pena. Perché a restare nella mente e nel cuore, adesso e domani, è quel viaggio emozionale e sentimentale negli anni ’80 attraverso la corrispondenza tra le adolescenti, e talvolta gli adolescenti, e Lea Melandri. Un progetto che, curato dalla compagnia Ateliersi di Bologna, continua nel tempo.
In scena vediamo due tavoli ai lati, una poltrona al centro, un microfono, uno schermo, un paio di leggii. Su un tavolo, lettere. Tante lettere. Plichi di lettere. Sull’altro, riviste. Anzi: una rivista. “Ragazza In”. Periodo di pubblicazione: 1978-1986. Andrea Mochi Sismondi riprende con una telecamera le copertine, amplificate sullo schermo. Nomi famosi. Molti di essi lo sono ancora oggi. Altri un po’ meno. Miguel Bosé. Anthony Delon. Madonna. Wham. Ricchi e Poveri. Luis Miguel. Maurizio Ciavarro. Donatella Rettore. Barbra Streisand. John Travolta. Spandau Ballet. Depeche Mode. E i Duran Duran. I belli per antonomasia. Non mancava mai un superposter in omaggio. Un fotoromanzo a puntate. O un racconto. Un consiglio. La telecamera si focalizza anche sui titoli degli articoli. Sulla grafia di adolescenti. Quella che riconosci perché al posto dei puntini sulle “i” ci sono i tondini. A volte i cuoricini. “Sono disperata se non mi rispondi”. “Ti amo” (segue cuore). “Help!”.
Oggi parliamo tanto di cultura alta e cultura bassa. Di mescolare sacro e profano. Il pop e l’erudito. In “Ragazza In” c’era già tutto. “Il Diavolo in corpo” a puntate e i superposter dei Duran Duran. L’oroscopo e l’interpretazione dei sogni. La moda e le inchieste. Esoterismo cinese e mascara. La ginnastica da fare in casa (non ci pensavano nemmeno a chiamarla workout) e la rubrica delle lettere di Lea Melandri, intellettuale, femminista, legata al movimento delle donne a partire dagli anni Settanta. Ed è su quest’ultima che Fiorenza Menni e Andrea Sismondi hanno iniziato il loro viaggio. La rubrica si chiamava “Inquietudini”. Sulle migliaia di missive ancora conservate da Lea Melandri, disponibilissima ad aprire l’enorme quantità di materiale con annessi i ricordi ad Andrea e Fiorenza, ne hanno estrapolato una manciata molto indicativa.
“Perché sei qui?”; chiede Andrea a Fiorenza. “Perché per i primi tre anni e mezzo degli anni Ottanta tutte le settimane sono andata in edicola a comprare la rivista Ragazza In”. Non ha mai scritto, ma leggeva tutte le lettere, e in tutte si ritrovava. “Era un modo per parlare con tante persone lontane”. Anche lui è parte in causa: sua madre comprava Ragazza In tutte le settimane, soprattutto per la rubrica di lettere a cui rispondeva Lea Melandri. Oggi ha bisogno di rileggerle per capire cose di sé. Ma erano le risposte, quell’astenersi dal dare la spiegazione a quel preciso problema, la vera sorpresa. Magari non le capivi subito, ma le potevi capire poi. “Per trarne esperienze cosmiche. Ti facevano sentire accolta”.
Tra le parole, o come in un sottofondo di una colonna sonora, Francesca Pizzo che, look anni Ottanta, total white, giacca con spalline e short, filiforme, movimenti accennati, sguardo altrove, interpreta alcune canzoni dei Duran Duran che arrangiati da Vincenzo Scorza e Mauro Sommavilla assumono dimensioni inaspettate e imprevedibili. Ora prende per mano Andrea e Fiorenza, ora indietreggia, sedendosi sulla poltrona bianca. La musica è una componente costante e gli anni Ottanta non sembrano poi così remoti. A volte sembrano proprio qui, in mezzo a noi. E noi qui, a farci i conti.
Le lettere hanno spesso un nickname. Gli autori si chiamano Leonessa 66, Leone 70, Patty, Sognatrice. Scrivono dalla cameretta, hanno lo stereo come amico, temono crisi di identità, i primi rapporti, le prime delusioni. Si sfogano sulla famiglia. Cercano l’amore. A volte lo rifuggono. Sognano in grande, o in piccolo. Sognano spessissimo i Duran Duran. Raccontano dei loro complessi: “Sono brutta, proprio brutta, ma anch’io ho voglia di divertirmi”, scrive una ragazza che si firma “Granello di polvere in mezzo all’argenteria” o “Che me ne faccio dei miei lunghi capelli dorati se non ho più amiche?”, si sfoga Fedi 68 che tanto per cambiare pensa solo ai Duran Duran. Alcune invece si firmavano con nome e cognome e lasciavano l’indirizzo. Ed è grazie a questo che a ogni replica un’autrice viene invitata sul palco a fine spettacolo. L’altra sera a Santarcangelo c’era Valeria. E in altre repliche altre autrici con le loro testimonianze saranno accolte, reso possibile anche dal paziente lavoro di ricerca di Maria Donnoli.
Aveva 13 anni, Valeria, quando scrisse la lettera a Lea Melandri. “Ero malata dei Duran Duran e la rivista era un modo di evadere dalla mia realtà”. Una realtà che definisce gretta. Lea Melandri non giudicava mai né la Duran Duran mania, né tutto il resto. “Eravamo come unite da un vincolo”, ricorda oggi Valeria. “Ritengo che la memoria intima sia l’unico modo per farcela”, dice congedandosi.
È anche per questo che il viaggio, partito mesi fa con un laboratorio negli istituti superiori di Bologna chiamato anch’esso “Inquietudini” (è proseguito anche nel lockdown), riprenderà dall’autunno con altri laboratori nelle scuole di Milano, Ravenna, Roma e Bolzano. Con gli studenti e le studentesse a scambiarsi lettere, leggerle, ascoltare, rifletterci su. Senza giudicare.