L’alfabeto a sentimento del Covid-19
Sono giornate strane. La vita che non ci aspettavamo ci è piombata addosso. Ci frastorna, ma forse è un’occasione. Un po’ per gioco, un po’ no, ci è venuto in mente un alfabeto (italiano) da Covid-19. Così, su due piedi. A sentimento.
A. Come amuchina. È talmente andata a ruba nei primi giorni che hanno iniziato a venderla a prezzi da ladri. L’alternativa alla boccetta rincarata del 700%? La ricetta dell’Oms. Per un litro di disinfettante per le mani occorrono 833 ml di alcol etilico al 96%, 42 ml di acqua ossigenata al 3%, 15 ml di glicerina (glicerolo acquistabile in farmacia a pochi euro) al 98%, acqua distillata o acqua bollita e raffreddata. Ne avremo di che lavarci.
B. Baci (e abbracci). Prima di adottare definitivamente il “metodo gomito”, quando ci si incontra è tutto un “Posso baciarti?”, “Ci abbracciamo?”. Stiamo diventando più discreti? Più rispettosi?
C. Cultura. Teatri chiusi, cinema chiusi, riapertura lenta dei musei. Non sentite anche voi chi si chiede perché le palestre e le piscine siano aperte, le sfilate di moda continuano come se niente fosse e questo divieto di bere al bancone non è poi così rispettato? Apriteci almeno un cinemino di periferia. Di quelli d’essai, che tanto avevano già un pubblico sparuto. Sparuto sì, ma non sparito.
D. Disinfettante. Leggi (ancora) Amuchina. La Angelini Pharma condanna ogni forma di speculazione e si impegna a raddoppiare la produzione del disinfettante mani “Amuchina gel” a prezzi invariati. Avvertendo la popolazione a non farsi ingannare dalle truffe. In caso contrario, torna valida la ricetta dell’Oms.
E. Esperti. Tutti. Con conseguente tendenza a far prevalere i propri “saperi”. Ha detto bene Jürgen Klopp, tecnico del Liverpool (non) rispondendo ai giornalisti: “Perché chiedete a me un’opinione? Il coronavirus è una questione seria, dovete porre le domande agli esperti, non alla gente famosa”.
F. Fontana. Quello che di nome (d’arte) fa Jimmy (pensavate al presidente della Lombardia, eh?) Riascoltiamoci, magari, “Il mondo”. Allarga i polmoni, gli spazi, la prospettiva, anche se ci troviamo in una stanza 3×3. Perché è vero, “La notte insegue sempre il giorno ed il giorno verrà”.
G. Gianni. Come Morandi. Costretto in casa anche lui e costretto a rimandare diverse date del suo tour “in casa” al Teatro Duse di Bologna, manda un lungo video sulla sua pagina Facebook. È preoccupato per la crisi generale, per le città vuote, gli alberghi vuoti e via dicendo. Gioca (malinconicamente) a carte con Anna, legge, scrive, strimpella, canta. Si lamenta perché non gli vengono le melodie. È anche raffreddato. “Niente di grave. Bisogna aspettare che sfoghi”. Dice che sabato su Rai Uno dedicano una puntata a lui. Come hanno fatto con De André, Dalla, eccetera, e che comunque questa non è come la peste come la raccontava Manzoni. E ci abbraccia. Virtualmente. Sempre più uno di noi.
H. Hotel. Che dire di più?
I. Isolamento. Passiamo generalmente più tempo in casa e dunque la parola assume un significato insolitamente quotidiano. Può spaventarci. Ma può farci stare con noi stessi in modo migliore.
L. Libri. Da collegarsi alla lettera C di cultura, alla I di isolamento e alla F di Fontana (Jimmy). E si respira. Si viaggia.
M. Metro. Ironicamente, qualche giorno fa sentivi dire in giro: “Sarà il caso di muoverci con un metro in borsa”. Il futuro è già arrivato. In qualche biblioteca del centro-nord, per dire, hanno messo i limiti con i tipici nastri bianchi e rossi. Sembra di stare in un cantiere. Io dentro, tu fuori. Però proviamo a sorriderci a distanza, almeno.
N. Normalità. “Quando ritorneremo alla normalità?” “Quanto ci vorrà per tornare alla normalità?”. E come ne usciremo noi?
O. Over 65. Ovvero quegli “anziani” che Giulio Gallera, assessore al Welfare della Lombardia, invita “a uscire il meno possibile nelle prossime due/tre settimane”. Ditelo a una come Lella Costa. Mentre scriviamo è al Teatro Gobetti di Torino con “Questioni di cuore” (da Natalia Aspesi) e ha appena girato mezzo mondo in cinque giorni. “A casa non mi tenete”, dice. Sottolineando una contraddizione fin troppo evidente: “Noi over 65 siamo una risorsa o una categoria da accudire?”.
P. Parole. Quelle giuste. Tipo: se parliamo del Coronavirus, ovvero Covid-19, non è bene associarla a luoghi o etnie. Non è il “virus di Wuhan” o “virus cinese”, insomma. Le persone non infettano, semmai “trasmettono”, “diffondono” il virus. E chi si ammala non è colpevole. Né un caso sospetto. Non lo diciamo noi di Noialtre, lo dice l’Oms. Basta cercare in rete per saperne di più. Basta poco.
Q. Quarantena. Un’altra parola che fino a ieri suonava come lontana, estranea e che ora sentiamo appartenerci.
R. Respirare. L’ansia opprime. Passeggiamo. Incontriamoci. Aggreghiamoci. Magari riscopriamo i buoni pranzi della domenica che abbiamo dimenticato (noi di Noialtre parliamo per esperienza diretta e sono una gran bella riscoperta).
S. Sospensione. Vedi alla lettera “c”. A cui si aggiungono le scuole e le università. E anche noi – non solo noi di Noialtre, ma proprio tutti noi – non ci sentiamo un po’ sospesi?
T. Tempo. Anche se in questi giorni non tutti abbiamo più tempo a disposizione, la sensazione è che sia in qualche modo più espanso. Dilatato. Forse perché non sappiamo quanto durerà questa nostra nuova condizione che in qualche modo ci sta cambiando.
U. Umani. Restiamoci. E se non basta aumentiamo la dose. Perché, come ha scritto ieri Alessandro Bergonzoni nel suo intervento su Repubblica, “tutto ha un senso, anche questa “epidemia”. Tutto inficia tutto, tutto è connesso, legato e ci fa capire, vedere, intuire, sapere”.
V. Virus. Noi di Noialtre parliamo per esperienza diretta: per la prima volta la parola virus non la associamo a un computer. Può far sorridere, ma ci suggerisce davvero quanto ormai questa novità, chiamiamola così, sia entrata nelle nostre vite e ci chieda di cambiare atteggiamento, comportamento, parole, intenzioni, azioni, pensieri, sguardi.
Z. Zero. Dovremmo dire paziente zero. Invece diciamo Renato Zero. Del resto, Francesca Russo, dirigente del team di medici delle Asl venete coinvolte, sostiene che cercarlo non serve più. Ricordate i meme dei primi giorni su Renato? Adesso parla. Dice che non teme il coronavirus ma “la solitudine che porta”. Ed è uscito di casa. “Me serviva ‘na camicetta”. Sarà frivolo, ma un sorriso lo ha strappato.