LinkedOut, l’Out of office e il diritto alla disconnessione
Sono giorni di Out of office. Già, Out of office, perché dire: “Oggi imposto il Fuori Ufficio” non fa così manager come dire “Oggi devo ricordarmi di impostare l’out of office”. Letteralmente significa la stessa cosa, ma in inglese è meglio. Come tante altre parole a cui ci siamo abituati/e quest’anno: cashback, lockdown, recovery fund. Appaiono molto meglio e spaventano meno di: rimborso, chiusura, fondo di recupero. E quello che succede all’interno del nostro paese succede anche nel mondo del lavoro, così, nei giorni scorsi, molti/e di noi si sono trovati/e a impostare il proprio Out of office.
Dico molti/e perché non per tutti/e è così, e per chi non ha un ufficio da cui essere fuori difficilmente si riesce a raggiungere il diritto alla disconnessione.
Sono anni che se ne sente parlare in maniera fumosa, qualche frase qua e là all’interno dei social, qualche accenno nel diritto del lavoro, qualche flebile comunicato da parte dei sindacati. Nell’anno dello smart working per eccellenza, l’anno in cui finalmente gli/le italiani/e hanno compreso che molte delle attività lavorative quotidiane possono svolgersi al di fuori dei tradizionali luoghi di lavoro, molte persone hanno fatto sentire le loro lamentele in tema di diritto alla disconnessione.
Quando vai in ufficio è semplice, o dovrebbe esserlo: torni a casa e lasci il lavoro al lavoro. Ma quando il lavoro non è più in ufficio? Quando scopri di poter fare le stesse cose da casa con l’utilizzo di un semplice smartphone? Dove si tratteggia il limite tra la propria vita, il proprio spazio, e quello dedicato al lavoro?
Nel 2017, con la prima legge sullo smart working, venne inserito un articolo su questo diritto, l’articolo 19, in cui si prevedeva la necessità di definire “…i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione…” legge così sconosciuta che persino la ministra del lavoro, qualche mese fa, dichiarò di voler incontrare le parti sociali per regolamentare questo diritto.
Il diritto alla disconnessione esiste, è ostacolato dall’uso smoderato che si fa della tecnologia. In quante chat di whatsapp a tema “lavoro” siamo inseiriti? Quanti di noi le silenziano eppure le leggono? Quanti di noi hanno la mail del lavoro sincronizzata sul telefono cellulare? Praticamente tutti, tranne chi ha il privilegio (che dovrebbe essere un diritto) di avere un secondo telefono dedicato solo ed esclusivamente al lavoro.
E allora, in questi giorni di festa, dove seppur stando a casa dovremmo essere in vacanza, proviamo a ricordarci un po’ tutti/e di questo diritto. Lasciamo perdere i post di LinkedIn, lasciamo chiusa la posta elettronica del lavoro, non apriamo le chat di colleghi ma, soprattutto, ricordiamoci che chi non ha un ufficio, e non ha un telefono aziendale, fa molta più fatica a dividere questi due aspetti della propria vita. Pertanto impegniamoci tutti a non inviare mail di lavoro pensando “poi tanto la legge quando può…”. Rispettiamo i tempi di tutti e godiamoci questo tempo di vuoto in cui poter ritrovare i nostri interessi. In questo 2020 così strano, il lavoro si è impossessato di ogni nostro spazio. In quanto unica attività consentita ci ha tolto il diritto di rilassarci, di stare sul divano, di considerare “il dolce far niente” come uno spazio di diritto.
E invece lo è, e godiamocelo tutto. Ci vediamo nel nuovo anno, sperando che lo smart working possa tornare ad essere una scelta e non un’imposizione.