Khelif non è trans e Carini non è una combattente
Giova ricordare a certa stampa che la pugile algerina Imane Khelif non è trans ma donna? Forse no. Perché il caso di Imane Khelif è un po’ come quelli in cui dici sindaca e ti rispondono «io preferisco dire sindaco donna perché sindaca è cacofonico». Cose così. E infatti anche oggi, primo agosto, continuano con la solfa della boxeur transgender che ha battuto l’italiana Angela Carini per ritiro di quest’ultima a incontro appena iniziato. Interpellare la scienza in casi come questo sarebbe saggio. Ad esempio, la bioeticista Silvia Camporesi, massima esperta di scienza ed etica dello sport, in più di un’occasione si è espressa sul tema. Citiamo l’intervista odierna del Corriere della Sera: «La pugile Khelif è una donna – esordisce – quindi non vedo problemi alla sua partecipazione a competizioni femminili». Precisamente, «è una persona con variazioni delle caratteristiche del sesso Vcs/Dsd che possono comportare anche iperandroginismo». Ciò può capitare per diversi fattori. Come nella (abbastanza diffusa) sindrome di ovaio policistico. Eppure non si penserebbe mai di escluderle da competizioni sportive. La questione, conclude, «è etica».
Come si saprà, oggi Imane Khelif ha combattuto contro l’italiana Angela Carini. O meglio, non ha combattuto. Perché Carini ha abbandonato il ring dopo appena 36 secondi. Sale sul ring, sembra sicura di sé, fa anche l’occhiolino a qualcuno (i fotografi?), tocca come di rito i guantoni di Khelif. Inizia l’incontro. Al primo colpo Carini va verso l’angolo. Il ct le sistema il casco. Si sente dire «non è giusto! Fa malissimo!», il ct Renzini cerca di convincerla a riprendere il match, ad aspettare almeno alla fine del primo round. Lei riprende giusto una decina di secondi, altro pugno, altro «non è giusto!» e stop. Khelif cerca di salutarla, ma lei niente. Si scansa. Niente saluto. Nemmeno la guarda. Come non esistesse. Guadagna l’uscita, non prima di buttarsi a terra disperata.
Ripeterà ai giornalisti che quel colpo al naso le ha fatto tanto male, tra un «chi sono io per giudicare» e un «sono una combattente, sono una guerriera», che non ce l’ha con lei. Non smette di piangere, ricorda il papà, ex pugile, morto poco dopo le Olimpiadi di Tokyo, ma quello che si legge oltre alle parole sono le espressioni e in questo senso rivedere la scena su Raiplay è istruttivo. Anche noi potremmo dire chi siamo per giudicare. Però due cose le vorremmo dire. Vorremmo dire che un/una atleta che alla fine di un incontro nemmeno saluta l’avversaria/o non ci fa una gran bella figura. Sarà una combattente, ma sportiva, insomma. Soprattutto quando si insiste a dire che non si è nessuno per giudicare.
Vorremmo dire che il caso, se non fosse stato montato da certa politica italiana – serve citare i nomi? Dai, su, ci si arriva, da Meloni a Salvini passando per Roccella, La Russa – forse si sarebbe risolto come un’ennesima gara di sport in un’Olimpiade con non poche criticità (dall’acqua della Senna ai disagi sempre più espliciti di atlete e atleti) ma pur sempre un appuntamento che tutto il mondo segue. Vorremmo dire anche noi che, è vero, ai campionati mondiali di Nuova Dheli del 2023 è stata squalificata prima della finale per elevato tasso di testosterone, sebbene sotto indicazione del russo Umar Kremlev, capo dell’Aiba (Association Internationale de Boxe Amateurs) e amico di Putin. Infine vorremmo aggiungere la nostra totale solidarietà ai telecronisti Rai che si sono detti sconcertati per il repentino abbandono di Angela Carini: in piena TeleMeloni, visto mai subissero richiami e simili.
Noi continuiamo a seguire queste Olimpiadi, incluso il cammino di Imane Khalif che, da parte sua, non ha mai avuto vita facile e più volte ha denunciato atti di discriminazione nei suoi confronti. Stando a chi ne sa più di noi di questo sport, tra l’altro, pare non sia poi così imbattibile. Ma seguiamo anche il cammino della boxeur taiwanese Lin Yu-Ting, anche lei esclusa in passato per gli stessi motivi di Imane Khelif. Domani toccherà a lei salire sul ring. Non sarà contro un’italiana. Qualcosa ci dice che la politica di casa nostra non alzerà lo stesso polverone.