La CGIL lancia una campagna referendaria. Eliana Como: «Un primo passo contro la precarietà»
«Abolire la precarietà è un po’ come dire abolire la fame nel mondo». Il paragone rende l’idea. Perché «bisogna sapere che non basteranno né uno né due né 4 referendum, ma sono sicuramente un passo per aprire una riflessione nel Paese e, io spero, una mobilitazione». Chi parla è Eliana Como della FIOM CGIL nazionale. Oggi, 25 aprile, data non casuale, la CGIL lancia un’importante campagna referendaria. Abbiamo contattato la sindacalista, ormai presenza (quasi) fissa in vari talk televisivi, Dimartedì in primis su La7, per capire meglio di cosa si tratta.
Eliana Como, partiamo dal primo referendum: il Jobs act.
«Si andrà a toccare la parte più insidiosa e discriminante, quella che dal 2015, avendo cancellato l’art. 18, ha determinato che tutti gli assunti, anche quelli a tempo indeterminato, possano essere licenziati. In questo modo l’azienda può licenziarti quando vuole con un risarcimento relativo agli anni di lavoro svolti»
E da qui?
«Da qui auspico che si apra una discussione e una grande mobilitazione, perché questo deve essere solo il primo passo».
Il secondo riguarda l’indennizzo massimo per il licenziamento all’interno di piccole aziende. Finora non si è mai riusciti a garantire le stesse tutele per dipendenti nelle aziende sotto e sopra i 15. Un passo importante…
«Visto che licenziare in questo ambito è ancora più economico per l’imprenditore, noi chiediamo di aumentare l’indennità, il risarcimento, in caso di licenziamento. È un tema importante, qui le tutele sono bassissime e produrre un cambiamento è mettere un granello di sabbia».
C’è poi la reintroduzione di causali per contratti a tempo determinato.
«Chiediamo questo perché oggi si può usare il contratto a tempo determinato senza esplicitare la causale. Non c’è più l’obbligo di dichiarare il motivo per cui il contratto proposto sia a tempo determinato. Le causali non ci sono per i primi 12 mesi e tra i 12 e i 24 mesi possono essere definite a livello aziendale, è come se continuassero quindi a non esserci. Noi invece vogliamo rendere possibile il tempo determinato solo se rientra in determinate casistiche. Sarebbe un altro passo in avanti, lo strapotere verrebbe limitato, ma, ribadisco, non abolisce la precarietà».
Il quarto punto, infine, sembra quello più urgente…
«Il più urgente e decisivo, perché riguarda la responsabilità dell’azienda committente nelle gare d’appalto in caso di incidente o infortunio sul lavoro. A ogni livello di appalto e subappalto, oltre a diminuire i salari, diminuisce il rispetto delle norme di sicurezza. Invece deve esserci un meccanismo che definisca il fatto che se succede qualcosa lungo la catena di appalti, l’impresa capofila deve essere responsabile. Per capirci, nella terribile strage del 17 febbraio all’Esselunga, quest’ultima ha la responsabilità di quello che è successo, anche se i dipendenti non erano direttamente suoi dipendenti. Questo secondo me è un tema trainante».
C’è stato un momento in cui avete realizzato che questo era il momento giusto per i referendum che proponete?
«In realtà la richiesta che formalizziamo oggi la sosteniamo da tanti anni. Non è un tema nuovo, ma veniamo da stragi come quella di Brandizzo, Esselunga, della Centrale Enel a Bologna: pensiamo a come sarebbero state diverse, dal punto di vista delle responsabilità. Il governo ha poi una sua responsabilità, avendo portato lo scorso anno nel settore pubblico le norme degli appalti, anziché fare il contrario. A questo punto, o si apre una mobilitazione permanente o non se ne esce. Questo referendum è importante, ma dev’essere un pezzetto di un percorso che deve poggiare i piedi su un terreno di mobilitazione, altrimenti rischiamo di sbattere contro un muro».
Quanto si riflette la precarietà sulle donne e sui giovani?
«In generale quando parliamo di precarietà parliamo anche di giovani e donne, a prescindere dall’età. Sappiamo che per una donna giovane nel sud è difficile affacciarsi al mondo del lavoro, ma sappiamo anche che è difficile re-impiegarsi per una donna licenziata o che ha deciso di cambiare. Le uniche possibilità spesso sono o la disoccupazione o il part-time involontario. Invece la cosa principale da portare avanti è la discussione sul fatto che «i diritti siano diritti di tutte e tutti, non ci devono essere privilegi per alcune categorie a discapito di altre».
Ci sono tre mesi per raccogliere le firme. Noialtre già oggi va alla ricerca di un banchetto in cui firmare. E voi? Cosa farete di resistente?