LinkedOut, 1 maggio su coraggio
Ieri è arrivata la conferma, zona gialla in gran parte del Paese.
Dopo una settimana di abbassamento delle restrizioni, su LinkedIn inizia a comparire qualcosa. Si torna ad assumere nelle agenzie per il lavoro (d’altronde servirà una mano nella ricollocazione delle migliaia di disoccupati che ci troveremo nel mese di settembre quando avverrà lo sblocco dei licenziamenti); si tornano a leggere commenti e lamentele di giovani colloquiati che non hanno ricevuto feedback o che hanno ricevuto critiche non costruttive.
Ieri sera, per esempio, leggevo di questa ragazza, 26 anni, alla quale è stato rimproverato di non avere abbastanza esperienza. La posizione era per uno stage. Dopo aver fatto notare che per uno stage non è necessaria l’esperienza, perché dovrebbe essere il primo inserimento nel mondo del lavoro, le è stato detto che nei due anni dopo la sua laurea aveva cambiato repentinamente lavoro e che questo non poteva essere considerato come positivo.
La ragazza, su LinkedIn, si chiedeva da quando l’essersi saputa arrangiare durante una pandemia, avendo comunque accettato di tutto pur di lavorare, sia diventato un punto di debolezza anziché di forza. Una storia come tante.
E siamo così tornati a parlare di lavoro senza che la pandemia ci abbia migliorati, o cambiati. Viene in mente la scena del film “smetto quando voglio” in cui Pietro Sermonti, nei panni di un laureato che cerca disperatamente lavoro, definisce il suo titolo di studi “un errore di gioventù”. Il film è del 2014. Nel mezzo tantissime cose, la situazione ancora la stessa.
Lavoro non se ne trova, e se si trova lo si fa con grandi compromessi. Con un salario da fame, con una posizione per cui ci vogliono molte meno competenze di quelle che si hanno. Rispondendo ad annunci di lavoro in cui bisogna necessariamente avere un miliardo di caratteristiche (inutili per il lavoro che si andrà a svolgere), solo per scremare la quantità di giovani che stanno cercando lavoro.
Intanto, secondo un articolo su Left di Giulio Cavalli uscito lo scorso 29 aprile, il Consiglio dei ministri ha tolto la possibilità, invocata dall’Europa, di garantire il salario minimo a diverse categorie di lavoratori.
A quanto scritto in questo articolo pare che la questione del salario minimo sia proprio scomparsa. Anche se era presente nel testo entrato nel Consiglio dei ministri, è scomparsa nella versione del Piano sulla ripresa inviato alla commissione europea.
Oggi è la festa dei lavoratori e delle lavoratrici, un momento per ricordare che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Non dovrebbe essere la festa di pochi, ma un diritto di tutti/e. La ripresa va fatta ripartendo da qui e ripensando a cosa significa lavorare oggi.
Nell’ultimo anno di pandemia il lavoro è stata l’unica occasione per molti di noi per poter avere delle relazioni con il mondo esterno, per poter uscire da casa. E se questa situazione ha emotivamente e psicologicamente distrutto noi lavoratrici, immaginiamo cosa possa aver fatto a chi questa possibilità l’ha persa o la perderà nei prossimi mesi.
Lo Stato deve farsi carico della situazione in atto e non lo deve fare solo con dei sussidi o regalando bonus a destra e a manca. Deve ripensare al paese e al concetto di lavoro. Potremmo lavorare tutti e meno, se solo fosse garantito un salario minimo per le nostre vite.
Noi di Noialtre, ci aspettiamo che questo prima o poi accadrà e continuiamo ad augurarci che questa pandemia ci abbia insegnato qualcosa.