In quarantena aumenta la violenza sulle donne. Ma non si dice
Quello che le donne non dicono (in lockdown) è la violenza. Su 2.867 donne che in Italia hanno contattato i centri D.i.Re in Italia, solo 806 sono “nuove”. Il dato, pari al 28% del totale, è in forte contrasto con l’ultima rilevazione D.i.Re di due anni fa, il cui numero delle conviventi che si erano rivolte a centri antiviolenza per la prima volta era del 78% (15.456 su 19.715). Che c’entri l’emergenza sanitaria e il periodo di quarantena, è evidente. Prendiamo in esame più dettagliatamente una regione come l’Emilia-Romagna, in linea con questa tendenza. Dati alla mano, il Coordinamento dei Centri antiviolenza della regione, mettendo a confronto i dati relativi al mese di marzo 2020 con quelli di marzo 2019, registra un calo netto (-53%) delle richieste di aiuto provenienti proprio da chi non aveva mai preso prima contatto con un centro.
Diminuiscono le denunce, ma non le violenze. Da un’analisi a campione su 4 centri della regione (Lugo, Ferrara, Modena, Reggio Emilia), nello stesso periodo sono aumentate di 17 punti percentuali le donne che chiedono ospitalità in emergenza (dall’11% al 28%), sono un po’ più giovani (da 43 a 39 anni), per lo più vittime di violenze fisiche (67% contro il 53 del 2019) e quindi come si può intuire gli autori sono in grande maggioranza conviventi o coniugi (70% oggi, 57% un anno fa).
«È evidente che se le donne spesso si rivolgono ai centri antiviolenza all’insaputa del partner per evitare di aumentare tensioni e altre violenze, con il lockdown tutto diventa più difficile», spiega Angela Romanin, presidente del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna. «Prima dell’insorgenza del coronavirus – continua – i centri antiviolenza intercettavano una piccola quota rispetto ad altri enti specializzati come ad esempio le Forze dell’Ordine, il Pronto Soccorso. Diciamo circa il 12%. In sostanza, c’è poi un altro dato che preoccupa: il 40% di donne non parla proprio con nessuno. Nemmeno con le amiche, con le madri. Quindi, se prima intercettavamo già un numero limitato di richieste di aiuto, ora la percentuale si è abbassata in modo preoccupante». Che il motivo sia l’emergenza Covid-19 è chiaro. A febbraio, quindi in un periodo immediatamente precedente, i numeri erano in linea con quelli dello scorso anno. Il crollo si è verificato a marzo.
«Ci ripromettiamo di continuare la ricerca ad aprile e maggio. A giugno forniremo altri dati». Intanto, la Casa delle Donne di Bologna ha avviato un servizio chat per facilitare la conversazione attraverso la forma scritta. Altri centri si stanno attrezzando, nella speranza di spostare qualche dato. Ma quello che va sottolineato è che nessun centro antiviolenza in Italia si è fermato. La grande maggioranza del lavoro di accoglienza si è trasferito ai telefoni, ma nessuna casa rifugio è stata chiusa. E il motivo di spostamento è giustificato facendo valere lo stato di necessità nell’autocertificazione. Lo hanno ribadito anche le ministre Lamorgese e Bonetti.
Poi verrà il “dopo ospitalità”, il dopo emergenza, che questo tempo sospeso rende ancora più difficoltoso, specie nella costruzione di percorsi di autonomia. E la strada è in salita.