Myriam, Paola, Alice, Sofia, Nadia, Imane, Jasmine, Sara e le altre ragazze dei Cerchi

Le Olimpiadi sono finite domenica, e con le Olimpiadi abbiamo esaurito le immancabili frasi del tipo «hai visto le medaglie che abbiamo vinto?», intercambiabili con «ancora un quarto posto!?». E se si erano perse delle gare, puntuale, a fine giornata, arrivava la domanda: «Abbiamo vinto qualche medaglia oggi?». Come se in qualche modo ori, argenti, bronzi (e legni) entrassero in casa nostra. Come se un po’ di merito lo avessimo anche noi.

Non ci riesce bene la retorica dello sport. Però, quando lo sport ci insegna qualcosa, è anche giusto sottolinearlo, ricordarlo, prenderlo a esempio. E di queste Olimpiadi parigine, bene o male, certe cose non vorremmo dimenticarle. Ma stiamo rischiando di cadere nella retorica e nel moralismo, per non parlare del tono epico, e lo sport è argomento scivolosissimo su questo, basta leggere certa stampa mainstream. Quindi, andiamo un po’ a casaccio. Passando, perché no?, di palo in frasca da un ricordo all’altro.

Ci sono ricordi di queste Olimpiadi che vorremmo non dimenticare mai. Il primo, d’emblée, è quando Myriam Sylla e Anna Danesi si sono scambiate la medaglia d’oro sul podio dopo la strepitosa vittoria dell’Italvolley femminile sull’USA. Si sono dette «tieni la mia, io tengo la tua per sempre». All’inizio pensi: «Ma tu guarda che bel gesto hanno fatto». Invece se si fa un passo indietro, se si va alla scelta di Julio Velasco che quando torna sulla panchina della nazionale femminile toglie la fascia di capitana a Sylla per passarla a Danesi, e alla reazione di Sylla che, sportivissima, fa un grandissimo in bocca al lupo «all’atleta e amica fantastica», beh, si va molto oltre il bel gesto. Ma fermiamoci qui, altrimenti si scade nella retorica.

Di Julio Velasco è stato detto di tutto e di più. A noi rimane impressa una sua dichiarazione di fine giugno: «Nelle giocatrici punto a sviluppare l’autonomia e l’autorevolezza. Fa parte della cultura del patriarcato credere che le donne debbano dipendere da qualcun altro». Non che avessimo molti dubbi, ma tanto basta a ricordare di che pasta è fatto.

Tornando a Sylla, se non avete ancora visto la risposta all’ovvia domanda su Vannacci appena tornata da Parigi, guardatela. «Mi stai facendo questa domanda perché me la devi fare – è la sua replica – ma io non so neanche cosa ha detto e sinceramente nemmeno m’interessa. Io ho questa al collo e ne vado fiera», indicando la medaglia d’oro, con un’aria un po’ annoiata: la miglior risposta politica, la miglior critica al solito giornalismo con le solite domande.

Non vogliamo dare i numeri, ma conta ribadire che riguardo alla spedizione italiana, in queste Olimpiadi paritarie almeno dal punto di vista della partecipazione, le azzurre hanno vinto più medaglie degli azzurri. Più medaglie d’oro, soprattutto. Su 12, 7 arrivano dallo sport femminile. Pallavolo, Madison con Consonni e Guazzini, spada a squadre, il judo con Alice Bellandi, Marta Maggetti nella vela, Alice D’Amato nella ginnastica artistica, Sara Errani e Jasmine Paolini nel tennis. Ogni volta ci siamo emozionate, a tratti commosse. Ma se è per questo anche il magnifico argento di Nadia Battocletti nei 10.000 sapeva di oro, come quello, storico, della ginnastica artistica e il bronzo della ginnastica ritmica a squadre (ma la domanda di matrimonio ad Alessia Maurelli il tipo non poteva fargliela in un altro momento?) e quello di Sofia Raffaeli (ma perché le chiamate ancora farfalle o fate? Mistero).

Italia Paese record anche nei quarti posti: c’è chi l’ha presa bene, vedi Benedetta Pilato, e chi no, come Larissa Iapichino. Sorvoliamo per ora sulle offese e i peggiori shitstorm su di lei. Sorvoliamo sulle frasi infelici di giornalisti e commentatori Rai. Non è il giorno. Ci ritorneremo finché ci sarà ancora un Lucchetta, una Di Francisca, un Vespa. Sorvoliamo persino sull’odio scatenato su Imane Khelif. Abbiamo fatto il tifo per lei, dall’inizio alla fine. Ha vinto perché è stata la migliore. E ora, elegantemente, passa alle denunce «per molestie morali e cyberbullismo». Punto.

Sarebbe magnifico, infine, poter denunciare chi ha vandalizzato il murale che la street artist Laika ha realizzato su Paola Egonu, apparso davanti alla sede del Coni a Roma. Il titolo è “Italianità”. Sulla palla che sta schiacciando, le scritte: “Stop razzismo, odio, xenofobia, ignoranza”. È durato solo un giorno. Nella notte l’opera è stata vandalizzata. Il colore della sua pelle è stato coperto di rosa, il volto oscurato. Cancellate anche le scritte antirazziste con una mano di bianco. Non ci sono parole. Solo tanta rabbia.

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